Quando in Canavese esistevano le “grandi” fabbriche
Una storia socio-economica della regione canavesana che si avvale delle accurate indagini svolte sul campo da Rolando Argentero, illustrate con immagini attuali di Michele Basanese e fotografie d’antan che rievocano lontane atmosfere. Poteva essere salvata la Olivetti? Alla domanda cui da dieci anni stanno cercando di dare risposta economisti, analisti finanziari, esperti in informatica, si aggiunge ora il libro Quando in Canavese esistevano le “grandi” fabbriche, scritto da Rolando Argentero per le edizioni Hever. L’autore, partendo dalla metà del 1600, quando nella zona di Cuorgnè si installarono le prime officine meccaniche per rifornire l’Arsenale di Torino, ripercorre le varie attività che hanno contraddistinto la sub-regione canavesana, dalle miniere alla ceramica, dal tessile alla meccanica, dall’elettronica alla telefonia, e via innovando.
Negli ultimi anni il Canavese è stato coinvolto in una crisi lunga e difficile, causata da scelte imprenditoriali spesso inadeguate che hanno portato il territorio alle sue attuali vicissitudini. Partendo dall’assunto che per interpretare il presente e progettare il futuro bisogna studiare il passato, Argentero ne ha tratto lo spunto per esaminare la tuttora inspiegabile dissoluzione dell’impero olivettiano, e la fine di aziende che parevano eterne: dalla Châtillon di Ivrea (oltre tremila dipendenti), alle grandi manifatture che sorgevano sulle rive dell’Orco (a Pont e a Cuorgnè), e a quelle nate in un secondo tempo un po’ ovunque – a Caluso, Strambino, Mathi, Rivarolo, San Giorgio – e che hanno consentito a lungo al Canavese di fare concorrenza al Novarese e al Verbano nello specifico settore.
Per quanto riguarda la Olivetti, l’autore lascia chiaramente intendere che non tutto è stato fatto per evitare all’azienda la sorte infausta che le è toccata. L’ingegner De Benedetti – dopo una decina d’anni in cui si impegnò allo spasimo, ottenendo indiscutibili successi e rilanciando l’immagine della società, che divenne la seconda produttrice mondiale di personal computer – venne attratto da altri traguardi e quando l’Ingegnere se ne andò (settembre 1996), la sua venne considerata «l’immagine di un generale in fuga o al massimo quella di un uomo che abbandona l’amante di cui si è stufato.»
Non è tenero, Argentero, neppure con il ragionier Colaninno, paragonato a uno scalatore improvvido che, in compagnia dei fidi Gnutti, Consorte e Sacchetti, affronta vette estreme dopo aver mandato al macero migliaia di operai e impiegati (a Ivrea, in Canavese e nelle varie consociate sparse nel mondo). Non dimenticando, tuttavia, di monetizzare quelle venti milioni di azioni (che De Benedetti gli aveva offerto in opzione al momento del suo ingresso in società) per puntare a «qualcosa di più grande e coraggioso», come gli aveva suggerito Cuccia. Il libro non trascura ovviamente il dottor Tronchetti Provera che, rilevata la Olivetti da Colaninno, viene a Ivrea e si prodiga in promesse davanti a un uditorio accorso ad ascoltarlo come il novello Messia. Alla resa dei fatti, tuttavia, dimostra ben presto (e continua a dimostrare) che i suoi interessi erano e sono altrove.
Così la Olivetti che fu di Camillo e Adriano, nata nel 1908 e di cui tra poco si sarebbe dovuto festeggiare il centenario, è stata cancellata dal panorama delle società italiane: degli oltre settantatremila dipendenti sparsi per il mondo ne sono rimasti poco più di mille, mentre la Pirelli Real Estate continua a vendere i beni immobili che hanno segnato la storia di quella che fu “la prima azienda italiana di macchine per scrivere”.
Il volume è stato presentato martedì 5 dicembre 2006 al Teatro Giacosa di Ivrea da Ferruccio de Bortoli, direttore de Il Sole 24 Ore, presenti il Sindaco della città, e la signora Laura Olivetti, presidente della Fondazione Adriano Olivetti. Attualmente è esaurito.
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